La quaresima al tempo del sacrificio
Siamo giunti alla fine del percorso quaresimale. Quaranta
giorni dedicati alla riflessione sul senso del sacrificio, quanto mai attuale
nel momento che stiamo vivendo. Ciascuno di noi ha sperimentato sulla propria
pelle cosa significhi questa parola, come la limitazione della libertà
personale sia un’esperienza dura e inevitabile per raggiungere un bene
superiore.Ma abbiamo anche scoperto quanto possiamo fare per
noi stessi e per gli altri e quanto sia indispensabile ragionare in un’ottica
che includa l’altro nel nostro orizzonte di senso.
Anche quest’anno sono stati molti i contributi che
hanno reso questo viaggio un autentico percorso alla ricerca di senso, grazie
ad amici italiani e stranieri, dal Lago di Garda a Piacenza, dal Belgio alla
Florida, con vite e storie diverse, ma accomunati dal piacere della ricerca e
del confronto. Mai come quest’anno, confrontandoci sul sacrificio di
Dio, abbiamo trovato un senso al sacrificio dell’Uomo. Abbiamo ri-scoperto il
vero significato della parola libertà e l’abbiamo inserita nell’unico contesto
in cui merita di stare, quello della comunità. Dopotutto nessuno si salva da solo, come ha giustamente ricordato papa Francesco.
Il nostro augurio per questa Pasqua nuova e surreale
è di comprendere quanto siamo indispensabili gli uni agli altri, quanto tutto
ciò che ci rende migliori sia lo sguardo amico delle persone con cui
condividiamo il nostro tempo. Non solo quello della vita, ma anche quello
ignoto dell’ultima tappa, una dimensione di cui, francamente, nessuno sa nulla.
Ed è proprio alla morte che dedichiamo questa ultima
riflessione della nostra QUAR2020. Perché anche il tempo finale della nostra vita
resti umano fino alla fine.
La Quaresima è finita, ma il viaggio dei pensatori non termina qui.Grazie a tutti voi che ci avete seguito con pazienza
e interesse e Buona Pasqua autentica!Giovanni de Gaetano e Marialaura Bonaccio
La de-umanizzazione della morte
Stavano presso
la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e
Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo
che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!». Poi disse al
discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé.Dopo questi
fatti, Giuseppe di Arimatèa, che era discepolo di Gesù, ma di nascosto, per
timore dei Giudei, chiese a Pilato di prendere il corpo di Gesù. Pilato lo
concesse. Allora egli andò e prese il corpo di Gesù. Vi andò anche Nicodèmo –
quello che in precedenza era andato da lui di notte – e portò circa trenta
chili di una mistura di mirra e di áloe. Essi presero allora il corpo di Gesù e
lo avvolsero con teli, insieme ad aromi, come usano fare i Giudei per preparare
la sepoltura. Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e
nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale posero Gesù.Passato il
sabato, Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo e Salome comprarono oli
aromatici per andare a ungere il corpo del Signore Gesù. Di buon mattino, il
primo giorno della settimana, vennero al sepolcro al levare del sole. Dicevano
tra loro: «Chi ci farà rotolare via la pietra dall'ingresso del sepolcro?».
Alzando lo sguardo, osservarono che la pietra era già stata fatta rotolare,
benché fosse molto grande.
L’agonia e la morte di Gesù, pur atroci e
inenarrabili, furono eventi “accompagnati”, così come la sua sepoltura,
profumata di aromi. In questo senso furono una morte e una sepoltura umane.
Ancora oggi (con l’eccezione straordinaria di quest’anno), duemila anni dopo,
centinaia di migliaia di persone accompagnano, il venerdì santo, il simulacro
del “Cristo morto”. L’epidemia di Covid19 ha privato la morte della sua
umanità. L’ha de-umanizzata, come ha notato Massimo Recalcati. All’assenza
delle ultime parole, di un momento di commiato, delle raccomandazioni a figli e
nipoti, di un lento cammino di accompagnamento della persona scomparsa, abbiamo
sostituito il bollettino serale dei numeri. Abbiamo sostituito i nomi con i
numeri. Ci torna in mente il “pio” Enea che dà una dignitosa
sepoltura al povero Polidoro e ne celebra il rito funebre: per gli antichi, le
anime di coloro che non avevano ricevuto sepoltura non venivano accolte nel
regno dei morti, ma erano condannate a vagare per l'eternità, mentre il loro
corpo perdeva ogni connotazione umana trasformandosi in pianta. Ed è per dare
sepoltura al fratello che Antigone infrange la legge di Tebe e va incontro alla
condanna di Creonte. Non intendiamo certo dire che bisognava infrangere i
decreti presidenziali o le norme di salute pubblica, ma almeno elevare un
grido, un invito al pensiero etico e a una riflessione morale condivisa, un
tentativo, magari soltanto formale, di ridare alla morte la sua dignità umana. Alla vigilia di Pasqua non ci resta che la speranza. La resurrezione che celebriamo domenica, ci ricordi
che la morte non è l’ultima parola del dramma umano e che l’amore è sempre più
forte della morte.
Giovanni de Gaetano e Marialaura Bonaccio